Più che un cantautore si può considerare Fabrizio De Andrè un vero e proprio poeta che ha scritto ritratti di emarginati, prostitute e delinquenti, ma ci ha anche parlato di Gesù, compagno di vita, e di Maria, la madre più umana del mondo.
Nasce nel 1940 a Genova da una famiglia dell’alta borghesia industriale. Lascia la casa dei genitori all’età di 18 anni a causa del difficile rapporto con il padre e sceglie la musica invece che la carriera di avvocato.
Nelle sue canzoni difende gli ultimi e gli emarginati spiegando che è il giudizio degli altri che bolla questi poveretti senza dargli una possibilità di riscattarsi, ma questi nella loro disgrazia hanno la grande fortuna di potersi comportare come vogliono da uomini liberi e sciolti dalle convenzioni sociali. Critica anche l’incoerenza della borghesia e della chiesa che pur sentendosi superiore compie gli stessi peccati degli uomini, uccidendo, rubando e pagando per amore.
In “Via del campo” la prostituta bambina lasciando “fiori dove cammina” e regalando un sorriso, da’ l’illusione dell’amore e rende felici le persone (“non credevi che il Paradiso fosse solo lì al primo piano”). La canzone termina con il totale ribaltamento degli ideali borghesi: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
“Bocca di rosa”, canzone pubblicata nel 1967, è una delle storie più vicine al cantante e racconta di una ragazza che arriva nel paesino di “Sant’Ilario”. Non è una vera prostituta perché “c’è chi l’amore lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione, bocca di rosa né l’uno né l’altro lei lo faceva per passione”. Le comari del paese e soprattutto le mogli che vedono sottrarsi i mariti, grette e chiuse, la demonizzano e la obbligano ad andarsene.
Questa canzone denuncia anche l’ipocrisia della chiesa che “con la Vergine in prima fila e bocca di rosa poco lontano si porta a spasso l’amore sacro e l’amor profano”.
Altro tema è la religione, in particolare la figura di Gesù Cristo. Nel 1970, anno della rivoluzione giovanile, pubblica l’album “La Buona Novella” dove racconta la vita di Gesù presentandolo non come il Messia o il figlio di Dio, ma come un uomo. De Andrè ammirava molto la figura di Gesù perché lo considerava un rivoluzionario. In questo album il cantautore dedica un’intera canzone a Tito, il ladrone pentito a cui Gesù promette un posto in Paradiso prima di morire. Il ladrone buono cita tutti i dieci comandamenti, deformandoli un po’ proprio perché chi li recita è il primo a trasgredirli. Tito rappresenta il pensiero di De Andrè contro l ‘ipocrisia, contro i bigotti, contro i preti che predicano ma che sono i primi a peccare, contro le false religioni che ingannano i semplici e i puri di spirito con promesse vane.
Come dice De Andrè nella “Città vecchia”, singolo pubblicato nel 1965:
“Nei quartieri dove il sole del buon Dio non da’ i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldare la gente d’altri paraggi,
una bambina canta la canzone antica della donnaccia,
quello che ancora non sai tu lo imparerai solo qui tra le mie braccia”.
Federica Molinario
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